Commento all'aforisma 341
de "La gaia scienza" di F.Nietzsche
"Il peso più pesante"
(da un messaggio inviato sul newsgroup it.cultura.filosofia)
 
Af.341.
Il peso più pesante.

E come, se un demone ti perseguitasse giorno e notte finanche nella più solitaria delle tue solitudini, e ti dicesse: "Questa vita, così come la vivi adesso e l'hai vissuta, ancora una, infinite volte dovrai viverla; e non ci sarà nulla di nuovo, quindi, ma al contrario ogni dolore e ogni piacere, e ogni pensiero, ogni sospiro e tutto ciò che v'è di ineffabile,
grande e piccolo, nella tua vita, deve ritornare per te, e tutto nello stesso ordine e nella stessa successione - e altrettanto questo ragno e la luce della luna tra gli alberi, e altrettanto questo istante e io stesso.
L'eterna clessidra dell'esistenza incessantemente viene capovolta - e tu con lei, cenere dalla cenere!"- (Come) Non ti getteresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone, che parlava così? O tu ha vissuto una volta un istante prodigioso, tanto che potresti rispondergli: "Tu sei un dio, e io non ho mai sentito cosa più divina!".
Se quel pensiero si imponesse con la forza su di te, esso ti trasformerebbe, così come sei, e forse ti annienterebbe; la domanda, riguardo tutto e ciascuna cosa: "Vuoi tu, dunque, questa cosa ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" peserebbe sul tuo agire come il peso più pesante! Oppure come dovresti rendere te e la tua vita grata a te stesso, per non
esigere più niente se non quest'ultima, eterna conferma, questo suggello?


L'aforisma si divide palesemente in due parti.Per evidenziare questa divisione, sono andato a capo, nella traduzione, solo una volta, appunto laddove questa divisione si presenta.
Nella prima parte, introdotta da un "Wie" interrogativo, N. presenta l'ipotesi "socratico-platonica" di un demone, di uno spirito "maligno" capace di perseguitare ("nachschlichte": seguire con insistenza, pedinare  l'uomo giorno e notte per ricordargli che tutto ciò che gli accade, e finanche la presenza di quello dello spirito, di quel demone, deve eternamente ripetersi, come il tutto di una serie finita, che dovrà sempre ritornare senza mutamenti, così com'è stato.Come reagirebbe l'uomo di fronte a questo pensiero?Due sono le reazioni possibili, presentate da N.: l'uomo che ascoltasse un tale pensiero, senza ancora averlo fatto proprio, potrebbe: gettarsi a terra, maledicendo il demone; oppure prostrarsi di
fronte al demone e al suo pensiero, rivedendo in esso quell'istante "eterno", prodigioso, dell'apparizione di Dio nel tempo. Ma ecco lo stacco che segnalavo, e la seconda parte dell'aforisma: innanzitutto va segnalato che siamo di fronte a dei verbi al congiuntivo(tedesco: in italiano condizionale/congiuntivo a seconda dei casi), non al futuro. Questo incide
molto sul significato della seconda parte dell'aforisma, perchè in tale parte N. pone una ipotesi del tutto teorica(  che merita, appunto, il tempo delle ipotesi, il condizionale e non il futuro, tempo della possibilità concretamente realizzabili), quella dell'appropriazione di un tale concetto
dell'eterno ritorno( l'eterno ritorno come nuda ripetizione dell'identico), e poi pone un problema: come si può rendere il tempo, la vita, la propria persona "grata a te tesso"( "gut werden": rendere grata, gradita; non si tratta tanto di "amare la vita" o di essere "ben disposto", come suggerito nelle altre traduzioni, ma di una vera e propria attività), tanto da non
esigere più niente, non volere più nient'altro che l'eterna conferma di quella stessa volontà, di quella stessa affermatività presente in una tale decisione di approvare il divenire di tutte le cose?Insomma, per parlare in maniera più semplice, come si può rendere possibile aspirare all'eterno senza negare il tempo, la dimensione temporale dell'esistere, ma anzi dicendo incondizionatamente di sì a questa natura radicalmente temporale della vita?A quale grado la volontà di potenza dovrà giungere, per pronunciare un sì talmente incondizionato da meritare il suggello, la conferma "eterna" di cui si dice nell'ultimo rigo dell'aforisma?
Questa interpretazione propone un completo rovesciamento di prospettiva, rispetto a quella proposta da altrii, che vede nell'aforisma l'illustrazione "chiara e distinta" di un eterno ritorno inteso come ripetizione, incomprensibilmente, non ciclica) ma comunque senza
mutamenti di tutto ciò che è compreso nella serie finita di eventi considerati.
Qui non si parte dagli eventi, ma dall'io, dal singolo individuo considerato come soggetto di questa affermatività "indagata", nella sua possibilità in questo aforisma e in tutto lo Zarathustra. Il problema posto, secondo la mia interpretazione, da questo passo e dal concetto di N. non è tanto quello di "cosa" si ripete, ma di "chi" ripete e "come". Come del resto conferma la
domanda finale dell'aforisma, a mio parere inequivocabile sotto questo punto di vista.
Un'ultima nota, infine, a proposito dell'interpretazione che da' Heidegger dell'eterno ritorno.
Non conosco e non ho sottomano il "Nietzsche" di Heidegger, ma volevo riportare un passo da
"Sentieri interrotti", dal saggio sul detto di N. "Dio è morto", dove H. esprime alcune idee sulla volontà di potenza e l'eterno ritorno, non esattamente conciliabili, imho, con l'idea di eterno ritorno dell'identico proposta dagli altri, sopracitati:

"Poichè vuole l'ultrapotenziamento di sè stessa, la volontà non si acquieta a nessun livello di vita, per alto che sia.La volontà esercita la potenza nell'oltrepassamento del suo stesso volere. Essa ritorna costantemente a sè stessa come eguale a sè stessa.Il modo con cui l'ente nel suo insieme- ente di cui la volontà di potenza costituisce l'essentia- esiste( la sua existentia) è l'"eterno ritorno dell'uguale".Le due espressioni fondamentali della metafisica di N., la volontà di potenza e l'eterno ritorno
dell'uguale, definiscono l'ente nel suo essere(...)"
Non riporto questo passo perchè aderisco a questa interpretazione, ma perchè in esso si mostra come H. pensi l'eterno ritorno dell'uguale come il sigillo di eternità dato alla volontà di potenza, come il divenire stesso, come il primo motore di questo divenire. Secondo H., ci sarebbe un residuo dell'idea di fondamento, di sostanza, nel concetto N. di "volontà di potenza"...e
questo residuo si appaleserebbe appunto nel sigillo di eternità dato alla
volontà di potenza. Niente a che vedere, dunque, con alcun ritorno di eventi
e istanti....

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